09 novembre 2024 - 30 gennaio 2025
Viaggio 20
È una faccenda complessa ripercorrere la genesi, la diffusione e i significati che un dato colore può aver assunto nel corso dei secoli. Non di meno, i tempi e gli spazi riservati all’introduzione di una mostra rendono difficile esplorare le molteplici dimensioni culturali e percettive legate a quella che, oggi, ci appare come la più naturale delle cromie: il blu.
Eppure, bastano tre lettere per evocare istantaneamente un ritornello che ha fatto la storia della musica italiana: Volare. Era il 1958 quando questo brano, scritto da Domenico Modugno e Franco Migliacci, trionfava al Festival di Sanremo. A tal proposito, la leggenda narra che Migliacci abbia trovato l’ispirazione osservando Le Coq Rouge dans la Nuit (1944) di Marc Chagall, un’opera dove un gallo rosso si erge maestoso su di uno sfondo blu. Del resto, è inevitabile, riflettere sul binomio arte-blu significa portare la mente a rappresentazioni iconiche quali, ad esempio, la volta giottesca della Cappella degli Scrovegni, il periodo blu di Picasso, o la spazialità indefinita, vorticosa e spirituale delle operazioni di Yves Klein. Opere, queste, dove il blu non è semplicemente un colore ma un mezzo capace di trasportare “chi sta al di qua” oltre i confini della percezione ordinaria. Al di là di queste considerazioni, il blu costituisce un’esperienza visiva che, in modo sottile ma costante, sin dall’infanzia, modella il nostro rapporto con il mondo, plasmando talvolta il modo attraverso cui percepiamo la realtà. È emblematico osservare come, qualora venga dato ad un bambino un pennarello blu, con ogni probabilità egli utilizzerà quest’ultimo per rappresentare il cielo. Sembra quasi che ogni piccolo essere umano sia geneticamente predisposto a vedere, e quindi rappresentare, ciò che sta sopra di noi, ricorrendo alle gradazioni che tale tonalità offre. Eppure, lo sappiamo bene che forse sempre blu non è; quando piove, il cielo, si tinge di grigio, quando nevica si fa bianco, e quando il sole tramonta si abbandona a trepidanti danze arancioni. Ecco, dipingere il cielo di blu è un gesto la cui innata naturalezza rivela quanto profonde e radicate siano le convenzioni sociali e culturali legate all’utilizzo dei colori. Questi, insinuandosi nel gusto, diventano parte integrante del nostro linguaggio visivo e del nostro orizzonte culturale, tanto da farci percepire il mondo circostante attraverso una lente diversa.
Il punto di partenza di questa esposizione trova le sue radici nel saggio Blu. Storia di un colore, scritto dallo storico Michel Pastoureau il quale, negli anni, ha costruito una vera e propria storia dei colori in sei volumi, indagando usi, evoluzioni e simbologie ad essi associati in Europa, dal Medioevo ai giorni nostri. Lo studioso, infatti, considera il colore un fenomeno sociale, tant’è che afferma: «È la società che “fa” il colore, che gli attribuisce una definizione e un significato, che costruisce i suoi codici e i suoi valori, che stabilisce i suoi utilizzi e l’ambito delle sue applicazioni».
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Pur essendo oggi una delle tonalità più apprezzate, la storia del blu è tra le più complesse e ambigue: assente nelle pitture parietali, relegato a un ruolo secondario nell’antico Egitto, dove appariva principalmente nell’arte funeraria, e raro in Grecia e a Roma, dove era associato ai barbari e per tale ragione connotato negativamente.
Ed è proprio la lettura del testo di Pastoureau a stimolare la domanda centrale attorno alla quale verte l’intera esposizione: com’è riuscito il blu non solo ad affermarsi ma, soprattutto, ad imporre significati così diversi nell’arte contemporanea degli ultimi quarant’anni?
Attraverso i lavori di Pino Pinelli, Marco Gastini, Nunzio, Eduard Habicher, Bertozzi e Casoni, Stefano Arienti e Arcangelo Sassolino – qui volutamente menzionati in ordine cronologico – s’intende quindi costruire un racconto in grado di restituire le diverse relazioni che ciascuno di questi ha intessuto con questo colore.
Per Pino Pinelli, tra i maggiori esponenti della pittura analitica, il colore è risorsa, apertura, mezzo privilegiato, capace di generare estensioni timbriche talmente intense da avvicinare un ideale assoluto di luce-materia. L’opera Pittura B-G 1983 rientra in quelle che Filiberto Menna aveva definito le grandi disseminazioni, che l’artista realizza a cavallo tra il 1983-1984. In quest’opera il blu, grazie all’uso della flanella, sembra rispondere all’obiettivo di Pinelli di fare della materia pittorica una superficie che, riprendendo le parole di Giorgio Cortenova, si comporta come una spugna per la luce. Sembra quasi che per Pinelli il blu non sia semplicemente un colore, quanto piuttosto un mezzo capace di esaltare le potenzialità del materiale con cui interagisce, tanto da permettere all’osservatore di toccare con gli occhi le sue possibilità espressive.
Marco Gastini ragiona in modo simile ma fa un passo ulteriore, abbracciando il blu in maniera quasi totemica. Per l’artista, scomparso nel 2018, questa tonalità si distingue per la sua intrinseca capacità di generare un’esperienza sensoriale intensa e immersiva, in grado di accogliere il fruitore e l’ambiente circostante. Egli celebra le qualità timbriche e corporee dell’indaco, la cui forte presenza cromatica gli consente di restituire tutta la concretezza di cui è intriso. Non a caso, il senso di sospensione che permea molti dei suoi lavori è spesso bilanciato dal blu oltremare: un elemento capace non solo di infondere stabilità, ma anche di conferire una quiete in grado di contrastare l’evanescenza delle forme. Opere quali Senza Titolo e Aria dimostrano come Gastini utilizzi il blu come mezzo volto non solo ad alleggerire ma anche ad ampliare lo spazio dell’opera che, a tratti, pare farsi spazio nell’ambiente entro cui è ubicata. Qui, il colore emerge come un’entità fisica e materica, un’autentica estensione creata dall’artista per invitare il fruitore a immergersi in una nuova dimensione condivisa.
Al contrario, il blu delle combustioni lignee di Nunzio di Stefano sembra emanciparsi da qualsiasi intento estetico. Come osserva Virginia Baradel, esso mira ad enfatizzare l’essenzialità della forma, tant’è che, in opere come Senza Titolo, «il blu cobalto, sollevandosi a getto nell’anima concava del legno» pare alludere al «rovesciamento della fiamma della combustione dal caldo al freddo».
Nei lavori più recenti di Habicher le forze della natura si concentrano in un equilibrio silenzioso capace di avviare un dialogo profondo con l’ambiente circostante. La scultura
Piccola Blu-Universo, in particolare, invita a riflettere sull’abbraccio metaforico tra due mondi eterogenei: quello della fragilità e quello della forza. Attraverso l’impiego sapiente di materiali come il vetro di Murano e l’acciaio, l’artista altoatesino si rivolge proprio al blu per permettere all’opera di espandersi oltre i suoi confini fisici.
Per il duo Bertozzi e Casoni, invece, il ricorso al colore del mare è profondamente radicato nella tradizione del materiale a loro più caro: la ceramica. In tal senso, si viene quindi a creare un contrasto significativo con quel tono dolceamaro, e a tratti dissacrante, che attraversa molti dei loro lavori. In opere come Pausa e Uno di noi ha torto, ripensamento blu chiaro, il blu è la base su cui trovano pace oggetti stremati – come mozziconi e tazzine ribaltate – che rievocano i temi della vanitas e della dissoluzione. Ragion per cui, la cromia non è soltanto un elogio alla memoria ma si erge a veicolo di significati che oscillano tra l’eterno e il transitorio e tra il passato e il presente, generando una pièce che mette in scena un dialogo intenso tra simbolismo sacro e una critica lucida, e senz’altro spietata, sul mondo contemporaneo.
Il processo manipolativo che caratterizza i lavori di Stefano Arienti rende complesso capire quale possa essere il suo legame con il blu. Ad esempio, in Doppio autoritratto come pittore, il colore sembra svincolato da particolari implicazioni simboliche; tuttavia, l’uso del pongo, riesce a conferire al tono una fisicità potente, capace di catturare e trattenere lo sguardo dello spettatore. Diversamente, in opere come Nudo Blu III, il blu assume un duplice significato: da un lato è quell’elemento che omaggia il padre dell’opera nella sua versione originale, dall’altro, la presenza di una cerniera, crea un gioco evocativo ove riecheggia l’intramontabile ascendente dei blue jeans. Un po’ come accade per Bertozzi e Casoni, l’appello al più intenso degli azzurri permette all’artista di creare un ponte tra tradizione e contemporaneità. Arienti non si limita a rielaborare un’opera iconica di Matisse: piuttosto, invita l’osservatore a conferire, attraverso il colore blu, un nuovo significato all’immagine, immediatamente accessibile poiché collegato alle categorie di riferimento proprie del suo tempo.
Per il più giovane degli artisti in mostra, Arcangelo Sassolino, il blu assume una funzione eminentemente pragmatica, diventando uno strumento volto a mettere in risalto sia le potenzialità della materia, sia le dinamiche fisiche che governano le sue operazioni. In tal senso, il colore è come se si emancipasse dalle applicazioni simboliche ed espressive degli artisti che lo hanno preceduto, trasformandosi in un attributo tecnico che si fonde, con una sobria intensità, nella grammatica visiva di Sassolino.
Alla luce di quanto esposto, non è errato pensare che questa mostra offra una testimonianza concreta di ciò che intende Pastoureau quando definisce il colore una costruzione culturale complessa. Non di meno, i lavori presenti non solo esprimono i tratti distintivi di ciascun artista ma, proprio attraverso l’uso del blu, riflettono anche le dinamiche storiche e culturali del loro tempo. Del resto, secondo lo studioso francese, ogni interpretazione del colore è intimamente legata alle definizioni e alle classificazioni proprie di una data epoca, tant’è che asserisce: «È impossibile proiettare sulle immagini, i monumenti e gli oggetti dei secoli passati le nostre attuali definizioni e classificazioni del colore, poiché queste non corrispondono a quelle delle società del passato».
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L’osservatore dinanzi alle opere che abitano questa esposizione è quindi invitato a valicare la mera contemplazione del colore suggerita dal titolo, per abbandonarsi all’esplorazione delle storie e delle narrazioni che legano gli autori alle loro opere. Solo in questo modo, infatti, è possibile intravedere, nel modo in cui ciascuna di esse restituisce il blu, il riflesso della cultura che ha dato linfa vitale alla poetica dell’artista.