MATTEO BASILÈ

10 maggio 2025 - 20 giugno 2025
Viaggio 21

Quando hai avvertito per la prima volta il desiderio di oltrepassare i confini tra Occidente e Oriente? È stato un bisogno di fuga, di ricerca, o piuttosto un ritorno a qualcosa che sentivi perduto?
Il desiderio è nato da una mancanza antica: non fuga, non semplice ricerca, ma un istinto di ritrovamento. L’Oriente era già dentro di me, come un continente sommerso nel mio inconscio. Dovevo solo attraversare il confine, non per fuggire, ma per ritornare a una parte dimenticata di me.

In che modo l’incontro con l’Oriente ha cambiato lo sguardo che hai sull’identità e sull’appartenenza?
Lo sguardo è mutato spostando l’asse della percezione: l’identità non come radice monolitica, ma come intreccio in continua metamorfosi. L'appartenenza non è più un luogo da difendere, ma un paesaggio mutevole che si attraversa, si respira, si reinterpreta ogni giorno.

Quando viaggi, cosa cerchi davvero? Volti che raccontano storie, paesaggi che ti parlano o, forse, frammenti di te stesso che non avevi ancora incontrato?
Nei viaggi cerco presenze che vibrano: volti che raccontano silenzi, paesaggi che respirano attraverso la pelle. Cerco brandelli di me stesso dispersi nel tempo, frammenti ancestrali che riaffiorano improvvisi, come epifanie.

I tuoi personaggi sembrano sospesi tra due mondi. Ti sei mai sentito anche tu una figura ibrida, come se appartenessi a più luoghi senza mai essere completamente a casa in nessuno di essi?
Da sempre mi sento sospeso: non totalmente occidentale, non davvero orientale. Vivo ai margini dei territori, in una terra di mezzo che non ha confini definiti. Appartengo a un’idea di casa che è movimento, passaggio, soglia.

Vestire i tuoi soggetti è un atto di rispetto e di trasformazione. Che cosa accade dentro di te quando realizzi questo rito? Esiste un momento preciso in cui senti che la persona ritratta diventa qualcosa di diverso, di “altro”?
Quando vesto un soggetto avviene una metamorfosi invisibile: la persona si libera dai vincoli sociali, si spoglia della maschera quotidiana. In un momento preciso, sottile e sacro, il soggetto smette di interpretare e comincia a essere pienamente sé stesso.

Nei tuoi ritratti, la fragilità non è mai debolezza ma bellezza che nasce dalla vulnerabilità. In questo processo di trasformazione, che cosa speri che l’osservatore percepisca, qual è la bellezza che emerge da quella fragilità? E cos’è per te la fragilità?
Vorrei che l’osservatore cogliesse la forza che nasce dal cedere, dal mostrarsi nudi e veri. La fragilità è per me la zona sacra dove la bellezza più autentica si manifesta, senza filtri, senza difese, in una luce che abbraccia l'imperfezione come atto creativo.

Parli di “meravigliosa mostruosità”: come definiresti il mostro? È un altro da noi, un santo, un visionario o qualcosa che ci riguarda più da vicino di quanto siamo disposti a vedere?
Il mostro è ciò che ci riguarda più da vicino. È la nostra parte inascoltata, fatta di desideri e paure, di sacro e profano, di abissi e di redenzione. Il mostro non va combattuto: va accolto come parte integrante della nostra più alta umanità.

La fotografia di solito ferma il tempo, ma nei tuoi lavori sembra dilatarlo, piegarlo. Come ti rapporti con il tempo?
Il tempo, per me, è materia viva. Non una linea, ma una spirale che si espande, si piega, si torce. Le mie immagini non cercano di bloccare l’istante, ma di abitare quella piega in cui il passato, il presente e il futuro respirano insieme.

Come vorresti che il corpus delle opere presenti in mostra venisse restituito al pubblico? Cosa speri che l’osservatore porti con sé, quale sensazione, pensiero o emozione, dopo aver attraversato queste immagini? Vuoi che ogni opera parli in modo autonomo, o che siano tutte connesse tra loro, come frammenti di un racconto che si intreccia?
Vorrei che ogni opera fosse una soglia autonoma e, insieme, parte di una trama più ampia, come pagine sparse di un unico libro segreto. Desidero che chi attraversa queste immagini senta di aver compiuto un viaggio: non lineare, ma necessario, attraverso i suoi stessi mondi interiori.

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