ROOM 14 - ERK 14
ERK 14

Michela Zilio - Giancarlo Zilio

13 aprile 2024 - 30 maggio 2024
Viaggio 19

Sarebbe facile parlando delle opere di Erk14 citare “il cielo in una stanza”, quei versi che poi di evocativo nulla avevano perché il soffitto della stanza di Gino Paoli era viola per davvero come l’improbabile e impossibile amore per una ragazza “facile”...

Erano gli anni 60, in Italia nasce una scuola di cantautori di valore, con Buzzati e Satura di Montale cambia il metodo di scrittura, si lavora per immagini e in arte arriva la pop art: sebbene con declinazioni diverse negli Stati Uniti, in Europa e in Italia, l’attenzione sull’oggetto è forte sino a farlo diventare iperbolico e metaforico protagonista di arti visive e pubblicità. Anche nei lavori di Erk14 gli oggetti sembrano protagonisti ma questo giovane artista, ben conscio del proprio “fare arte”, compie un salto deciso riuscendo a traslare l’oggetto con uno slittamento semantico nel concettuale. Ma per chi non conoscesse ancora il suo lavoro meglio andare con ordine...


Erk14 inizia sperimentando un rigoroso e raffinatissimo bianco e nero, frutto di un’introversione solo parzialmente liberata nella pittura. Una personale visione del mondo dall’apparente semplificazione semantica e inconsciamente condotta a scopo “difensivo”. Eppure nella netta divisione tra black and white, nella spessa linea di demarcazione tra luce e buio, ancora conservata nei più recenti lavori, già si annidava il colore, esploso pienamente dopo il 2020.

È probabile che questa inversione di tendenza sia stato il frutto del lockdown forzato (essendone peraltro perfettamente coincidente a livello temporale), della necessità di recuperare attraverso luce e colori quegli stimoli vitali e sensoriali che il mancato contatto con il mondo esterno aveva a noi tutti negato.


È come se l’artista decidesse finalmente di fare entrare lo spettatore nel proprio disordine emozionale per condividerlo. È come se l’artista trovasse finalmente il coraggio di aprirsi al mondo, assumendo al contempo su di sé le infinite perplessità di ognuno di noi davanti alla vita.Al di là infatti dell’innegabile piacevolezza estetica questi lavori pongono con il loro autore alcune domande.



In epoca di capitalismo globale, di sovraesposizione mediatica, di iper-consumo e accumulazioni seriali qual è la nostra attuale percezione degli oggetti?

Conservano essi ancora un potere “romantico” ed evocativo?

La proiezione di essi ha potere taumaturgico in grado di riempire e sanare vuoti esistenziali?

Lo scatenarsi di un oggetto dietro l’altro senza nessuna apparente logica connessione è solo frutto di un’ansia affabulativa o è l’aprirsi continuo di cassetti della memoria e di stanze del cuore?


Dopo anni di osservazione sono arrivata alla conclusione che si tratti di proiezioni assolutamente personali del vissuto dell’autore ma con una forza archetipica tale da riuscire a diventare la storia di ognuno di noi.

Questa possibilità di penetrazione empatica potrebbe però farle cadere nella tragica banalità del quotidiano. Perché questo non avviene?

Innanzitutto per l’ambivalenza dei simboli proposti: non a caso ricorrente è lo specchio, monito a guardare dentro e a capire quale sia la reale immagine di sé e della vita.

Le opere di Erk14 sono infatti il palcoscenico su cui la vita scorre: tutto accade senza che lo spettatore sappia il perché e il quando, senza che egli riesca a individuare la causa primigenia scatenante capovolgimenti, rotolamenti, affastellamenti da teatro dell’assurdo o improvvisi riordini.

È la magia dell’arte o meglio in senso filosofico il potere dell’Universale Assoluto, il subitaneo aprirsi di stanze plotiniane che procedono per emanazione...



Ora scendendo a livello più “pratico” per quale motivo un collezionista dovrebbe confrontarsi con questi lavori?

Innanzitutto per il coraggio di guardarsi in uno specchio, poi perché esse sono in perfetta tendenza con quanto sta accadendo nel mercato dell’arte: il recupero del colore e della figurazione, la voglia di opere in grado di raccontare una storia e non semplicemente di nascondersi dietro la facile maschera della sensazione... Trovo inoltre che questi lavori di Erk14 corrispondano perfettamente a un fenomeno che sempre di più si sta diffondendo tra la cosiddetta Generazione Z: a linee pulite e a colori essenziali, si preferisce l’accumulo di oggetti e la sovrapposizione di colori. Complice l’estetica social si è verificato nell’ultimo triennio uno shift culturale dal minimalismo dei Millenials, ispirato al decluttering e all’estetica scandinava, al maximalism, nuovo approccio etico ed estetico che interpreta

“le cose” come mezzo per esprimere la propria identità in modo assolutamente libero.

Accumulare e sovrapporre con gioia, mettersi in relazione con gli oggetti senza sensi di colpa è la risposta più naturale che la Gen Z poteva dare ad anni di ordine, pulizia e ascetismo.

Il ritorno al disordine, al caos, al colore e alla gioia di vivere è metaforicamente l’accettazione di una vita completa, dei suoi deragliamenti e della possibilità di sbagliare. Ma in questo new popular intelligentemente Erk14 si lega coscientemente alla tradizione pittorica novecentista e metafisica italiana, ne riutilizza i simboli (sole e luna, capitelli e statue greche, il guanto dechirichiano - ma nel mashup con l’indice puntato dello Zio Sam-), rivive come archetipi i giochi di un’infanzia che per motivi anagrafici non è stata la sua (distributori di palline e caramelle, birilli e paperelle di gomma) in un sincretismo estremamente naturale, mai artificioso o forzato, in cui vivono fiamme e farfalle, cuori anatomici, libri e diamanti, emoji e schermi di pc, e i topi e gli elefanti di La Fontaine. Un’archeologia contemporanea che unisce il passato a visioni assolutamente futuribili con un linguaggio personale, non confondibile e non fraintendibile.

Vi assicuro: nessuno spettatore passerà oltre distogliendo lo sguardo. Perché le opere di Erk14 sono un sorriso improvviso sulle labbra, incurante delle nuvole del cuore.


Raffaella A. Caruso

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