17 ottobre 2020 - 10 dicembre 2020
Viaggio 15
Costellazioni, superfici, segni, macchie colorate, forme di vario tipo, galassie, superfici con tranquillanti, sono solo alcuni degli elementi che si possono trovare nei lavori di Turcato. Le composizioni con Tranquillanti - pittura e collage di pastiglie di tranquillanti su tela - quando compaiono nel 1961, destano scalpore. L’interesse per la scienza e la biologia per l’artista emerge anche da qui. Medicinali come galassie che orbitano nello spazio della tela, ed un confronto tra sogno e realtà, tra desiderio dello spazio e le ansie che viviamo nel quotidiano.
L’astrattismo di Turcato mostra dei caratteri particolari rispetto ai suoi contemporanei. Alla decisione e violenza del segno di artisti come Vedova, contrappone un’espressività molto più controllata e ragionata. E questo è evidente con le ‘Superfici lunari’, che emergono garbatamente da altre dimensioni e su ‘altri’ materiali. Nel 1964 sposa Vana Caruso e compie un viaggio in Egitto che sarà fonte di ispirazione per molte opere successive, ed è sempre in quegli anni che inizia la serie delle gommapiume/superfici lunari.
Le Superfici lunari, presentate nel 1966 alla Biennale, ribadiscono in maniera concreta l’interesse ed il fascino per lo spazio ed il mito per la sua conquista da parte di Turcato. La superficie dell’opera è inusuale, la gommapiuma. “Uso la gomma perché il suo crostone scabroso è pieno di avvenimenti nuovi e di meraviglia. Del resto altre volte ho usato il catrame e altre materie, nonché i tranquillanti. La mia ricerca stilistica è orientata verso un nuovo colore, partendo dal principio che il marrone e l’amaranto sono due colori al di fuori dello spettro” (G. Turcato, Sulle “Superfici lunari”, in G. De Marchis, Turcato, Prearo, Milano 1971).
Negli anni ’50 la fama di Turcato era cresciuta per l’uso dell’astrazione e della sperimentazione ironica con il colore, la forma, la fluorescienza. Ma con l’inizio degli anni ’60 - anni di grande cambiamento e di boom economico - Turcato comincerà ad essere sempre più affascinato dall’astronomia, e a colpire l’immaginazione dell’artista sarà soprattutto il volo spaziale. Nel 1961 sia il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin che l’astronauta statunitense Alan Shephard orbitano intorno alla Terra. Turcato dipinge Astronomica (1960). Sentì dire che il colore viene percepito diversamente nello spazio extraterrestre, e nel 1962 comincia a sperimentare con la serie ‘Fuori dallo spettro’. Nel 1964 Turcato produce la prima delle sue Superfici lunari, fatta di strisce riciclate di materassi di gommapiuma ad imitazione della superficie sconnessa della Luna.
L’artista esplicitamente si ispira alla conquista dello spazio, che percorre l’immaginario dell’intero decennio. Dal colore come spazio immersivo e totalizzante, passa al monocromo e alla celebrazione del progresso. “Sono gli anni della corsa alla Luna, nei quali la realtà fisica dell’universo si fa finalmente tangibile e esperibile, e Turcato traduce lo stupore di questo disvelarsi dell’ignoto in una sorta di geologia del futuro… l’uso della gommapiuma è per l’Autore funzionale proprio alla ricerca di queste cromie inusuali, come egli stesso afferma: “uso la gommapiuma perché il suo crostone scabroso è pieno di avvenimenti nuovi e di meraviglia”….Evocando costellazioni, mappature astronomiche, geologie astrali, Superficie lunare è una decantazione della realtà, uno spazio non più drammaticamente post-atomico, ma positivamente e felicemente cosmico, la cui fisicità è costantemente confermata dalla presenza oggettuale o materica (la gommapiuma), ma anche contraddetta dal progressivo prevalere di una dimensione mentale, tradotta da un bianco composito di straordinaria forza espressiva.” (tratto dal testo del catalogo “Nascita di una nazione”,- “Il monocromo come spazio di libertà”, L. M. Barbero e F. Pola).
Lo stesso Turcato afferma “Uso la gomma perché il suo crostone scabroso è pieno di avvenimenti nuovi e di meraviglia. Del resto altre volte ho usato il catrame e altre materie, nonché i tranquillanti. La mia ricerca stilistica è orientata verso un nuovo colore, partendo dal principio che il marrone e l’amaranto sono due colori al di fuori dello spettro” (G. Turcato, Sulle “Superfici lunari”, in G. De Marchis, Turcato, Prearo, Milano 1971).
In Turcato, quindi, l’attenzione per l’uso della materia e del colore, nel passaggio tra i diversi filoni e le diverse fonti di ispirazione, sono elemento cruciale. Il puro colore e la semplice, talvolta grezza e butterata materia, diventano quasi ambito di celebrazione. Dalla tela ‘è complicato uscire’ per rendere omaggio alla realtà, come disse lo stesso artista passando alla gommapiuma e ad altri materiali. In mostra vi sono superfici lunari monocrome, nella tinta naturale della gommapiuma oppure dipinta, ed anche una del 1968 dove su uno sfondo marrone Turcato dipinge in un angolo dei cerchi concentrici che ricordano la luna, il sole e tutta la meraviglia dell’universo.
Se pensiamo al rapporto tra arte scienza, dall’epoca di Leonardo in poi, esso è passato attraverso varie fasi, da una prima di esplorazione e affiancamento (con Leonardo spesso l’arte aiuta a rappresentare, disegnare, esplorare, catalogare scenari ed elementi legati alla scienza), ad una dell’epoca di Newton e della fisica moderna nella quale si iniziò a operare una divisione tra i due ambiti (arte da una parte e scienza dall’altra), ad un’altra, che stiamo vivendo anche oggi, che vede il ritorno insieme di arte e scienza, in una terza cultura. Alcuni studiosi hanno teorizzato questo ritorno ad una terza cultura, tra questi Arthur I. Miller - professore emerito all'University College di Londra e autore di "Colliding Worlds" – il quale disse che stiamo assistendo alla nascita non solo di un nuovo movimento artistico, ma di una cultura completamente nuova - una Terza Cultura - in cui arte, scienza e tecnologia si fondono, in cui gli artisti usano i media scientifici e tecnologici e non ne sono solo influenzati, e il loro lavoro può anche influenzare direttamente il lavoro degli scienziati. Ciò implica una sfocatura dei confini per cui queste tre discipline non funzionano più separatamente.
Gli anni ’60, con le meraviglie del volo spaziale che hanno segnato un’epoca, rappresentano da un certo punto di vista l’inizio di questo ritorno. Artisti come Turcato, Rauschenberg, e poi Warhol con ‘Moonwalk’, hanno celebrato con la loro arte un ritorno di interesse per la scienza. Da quel momento si sono sviluppate molte forme avanzate di arte&scienza, come la media art, la sound art e la visualizzazione dei dati. La New Media Art (anche se per molti il termine "Nuovo" può scomparire, poiché suggerisce una rottura con il passato immediato e una sorta di posizione profetica nel discorso sull'arte e la cultura) può comprendere molti media e forme d'arte (film, video, suono, arte del suono, arte dello spettacolo, arte dell'installazione, computer art, net-art, arte generativa ecc.), ma oggi è spesso associato all'uso di tecnologie digitali. Tra queste forme d’arte possiamo anche annoverare la robotica.
I robot concepiti e prestati all’arte sono un’opportunità molto forte per ragionare sull’umanizzazione della scienza e della tecnologia. Basti ricordare l’opera più fotografata e ripresa di tutta la Biennale Arte di Venezia 2019, del duo cinese Sun Yuan e Peng Yu, che lavorando con la robotica ha messo in scena delle performance meccaniche altamente suggestive: in quella ai Giardini un robot spalava continuamente, per raccoglierlo, del liquido dal colore simile al sangue, una metafora sull’arte e la creatività che non possono essere racchiuse e contenute. Robot che si confrontano con temi umanistici. Per “Can’t help Myself” sono stati insegnati ben trentadue movimenti diversi alla macchina, che spaziano dalla stretta di mano con inchino, ai passi di danza, al grattarsi e perfino al dimenare il sedere. Per realizzare questa scultura Sun Yuan e Peng Yu hanno lavorato con un robot industriale, sensori di riconoscimento visivo e sistemi software.
Un altro caso è quello di Quayola, artista italiano di origine londinese. Fin dall’inizio della sua carriera, tecnologia e algoritmi sono stati il suo più grande strumento. Nelle sue sculture il focus è sul processo e non il risultato finale. Quayola usa un robot programmato con algoritmi che ricreano alcune opere della scultura classica – o una versione incompleta, e quindi unica. Per la serie delle sculture incompiute, come in The Sculpture Factory, l’artista utilizza tecniche di fabbricazione digitale e robotica industriale per scolpire figure che emergono da EPS, una base di polistirene. I risultati sono “sculture a grandezza naturale incompiute” di figure classiche, ad esempio di Michelangelo o del Laocoonte, dove il braccio meccanico che le scolpisce fa parte della performance, ed il lavoro esplora la tensione e l’equilibrio tra forma e materia, oggetti artificiali di perfezione e complessità, forme caotiche della natura. Dice Quayola “Il focus si sposta dalla rappresentazione figurativa pura all’articolazione della materia stessa. Le figure sono incompiute, documentando così la storia stessa della loro creazione e trasformazione.” E dove la tecnologia e la robotica giocano un ruolo primario, nel dialogo con la forma e la rappresentazione. Pensando anche a che grado di creazione e creatività può raggiungere la macchina.
Ale Guzzetti, tra i primi artisti italiani dediti all’arte tecnologica e interattiva, lavora dal 1983 alle forme e ai circuiti elettronici delle sue sculture interattive. Da allora l’artista ha utilizzato l’elettronica per realizzare installazioni capaci di interagire con lo spettatore e le sue sculture in alluminio, plastica e circuiti elettronici sono in grado di scrutare l’ambiente e di dialogare con esso. Questi circuiti sono capaci di produrre immagini, luci, suoni, voci che facilitano l’interazione. Le sue più recenti ricerche sono orientate alla robotica.
“L’artista – dice lo stesso Guzzetti - usa oggi la tecnologia come strumento di indagine filosofica e scientifica attraverso le domande dell’umanità: il tempo, lo spazio, la natura, il sogno, l’universo, il divino. In ogni tecnologia è sottesa, all’apparente razionalità, una spiritualità che ricerca motivazioni ultraterrene.
Arte, tecnica e spiritualità sono spesso state contrapposte e descritte come antitetiche negli strumenti e negli obbiettivi. È possibile invece trovare radici storiche comuni e profonde, metodi condivisi e potenziali sinergie atte ad ipotizzare oggi un’arte sincretica.”
I suoi Robots portrait e Affective Robots sono busti scultorei in alluminio, plastica e circuiti elettronici, dotati di grandi occhi tecnologici che guardano, e sembrano in cerca di umanità e di scambio. Gli occhi sembrano essere un elemento cruciale, di passaggio e di scambio di empatia, simbolo dell’unione tra arte e tecnologia in maniera quasi sentimentale. Nelle opere vs Michelangelo e vs Naukides Discobulus una scultura classica si confronta e dialoga con un robot. Ed anche qui gli occhi tecnologici sembrano osservare le meraviglie create dall’uomo attraverso l’arte, e osservano l’uomo stesso e la sua storia. Ma pare quasi sia un confronto tra pari. Passato, presente e futuro seduti alla stessa tavola.
Per realizzare queste opere risulta fondamentale la presenza di sensori in grado di intercettare le sollecitazioni provenienti dall’ambiente per attivare, conseguentemente, suoni, parole, musica. Sono sculture che osservano e interagiscono. Ed è un’azione di rovesciamento dello sguardo che viene portata a compimento: le sculture osservano e seguono lo spettatore, oltre e più che l’inverso.
Per anni le intelligenze artificiali sono state realizzate per venire in aiuto all’uomo per ambiti come l’attività industriale, la sicurezza, la cura delle persone, ma oggi – ci sembra dire Guzzetti – non c’è più una disciplina, quella della tecnologia applicata, che si mette al servizio dei problemi pratici dell’uomo, ma una tecnologia che vuole e può confrontarsi con l’uomo, e dove l’elemento di empatia e spiritualità non è assolutamente abbandonato. D’altronde, uno dei premi di maggior prestigio vinti nella carriera da Guzzetti è stato assegnato nell’ambito di Ars Electronica, progetto leader al mondo nel processo di utilizzare l’arte come mediatore culturale dello sviluppo scientifico e tecnologico, dove le conquiste apparentemente complesse della ricerca vengono portate al pubblico con progetti artistici dove la comprensione è più istintiva e dove si attua una umanizzazione e una semplificazione della complessità. Per un approccio di mutuo beneficio, dove anche l’arte impara a confrontarsi con la realtà e con una idea di futuro.
Come dice Guzzetti “Sappiamo far uso della razionalità e delle vie intuitive. Ci trasformiamo in esseri sincretici capaci di unire scienza, arte e spiritualità.”