Georges Mathieu - Anne Cecile Surga
Georges Mathieu - Anne Cecile Surga

Virginia Baradel - Barbara Luciana Cenere

19 ottobre 2019 - 30 novembre 2019
Viaggio 13 - 14

Georges Mathieu, il padre nobile dell’Astrazione lirica


Tra le avanguardie che sbocciarono in Europa nel secondo dopoguerra, come per un’impetuosa primavera e a lungo attesa, L’Abstraction lyrique fu certo la più radicale che metteva al centro l’istintualità, l’immediatezza, la liberazione da ogni forma di coercizione, esistenziale e linguistica: lontano tuttavia sia dall’automatismo dei Surrealisti, che dalle improvisation di Kandinskij. La veemenza -del bisogno, del gesto, del segno- era parte costitutiva, linfa vitale di un processo che sgorgava dalle sorgenti dell’espressività reclamando il pieno diritto a dichiararsi prima ancora di prefiggersi nuovi orizzonti di forma. Fu in Francia dopo la liberazione dal nazismo che germinò questo seme, anche se fu l’America con la Scuola di NY, con gli Irascibili a conquistare le prime linee della letteratura critica e del mercato. Fu in quegli anni che NY contese il primato dell’arte contemporanea a Parigi con artisti che, de resto, ben conoscevano la Ville Lumiere per esserci stati e aver conosciuto le avanguardie del primo-novecento. Il testimone passò di mano, ma Parigi tenne dritta la barra del timone del dibattito e delle proposte, delle mostre e della critica. La varietà degli informali francesi, riuniti sotto l’etichetta di tachisme fu ampia, variegata e ricca di teorizzazioni.

Ma tutti riconoscono a Georges Mathieu la primogenitura di un segno che sgorga direttamente dal tubetto spremuto sulla tela, sin dal 1944. In un libro che tutti abbiamo letto di Gillo Dorfles “Nuove tendenze nell’arte d’oggi”, la cui prima edizione risale al 1961, il critico riconosce questa precocità aggiungendo che l’impatto diretto del colore non manipolato sulla tela consentiva a Mathieu “di poter dipingere e al tempo stesso disegnare, fissando direttamente e rapidamente i suoi tracciati estemporanei sulla tela”. Certo l’agire fisico, diretto, impulsivo poggia su una padronanza delle dinamiche segniche e dello spazio della superficie. Le linee rette, i tracciati spezzati che deflagrano con frequenze a zig zag, a scoppio, a groviglio diventando una sorta di diagramma vettoriale dei segni che dirompe fulmineo partendo da un nucleo di tensione centrale. L’esplosione, e l’apparente disordine, si struttura sempre a partire da un asse centrale da cui si sviluppa una dinamica che procede su linee ortogonali e andamenti curvilinei spinti da un’energia centrifuga: Sant’Augustin del 1956 e Papa Clémente V couronné à Lyon del 1958 sono due dipinti straordinari, emblematici di questa varietà di propagazione tumultuosa eppure controllata, se non da una progettualità, certamente dalla coscienza dello spazio e della superficie.

Essendo di colore puro, proveniente dagli stessi tubetti che per primi usarono gli impressionisti, quei tracciati convulsi e magnetici sono pittura a tutti gli effetti, una pittura pura, rivoluzionaria, che risponde solo a se stessa e pesca le proprie ragioni nel profondo della soggettività individuale, nuovo diapason delle poetiche informali. Convinto fautore e propugnatore dell’Astrazione lirica, Mathieu si spinse verso l’azione diretta, la performance pittorica che registrava l’immediatezza dell’atto di dipingere. In Giappone davanti agli artisti del gruppo Gutai, dipinse in tre giorni 21 dipinti tra cui un affresco di 15 metri. Mathieu promosse i principi dell’Abstracion lyrique anche attraverso conferenze e scritti teorici. Le sue analisi si concentrano sul concetto stesso di astrazione osservando che i padri dell’astrattismo come Kandinskij e Mondrian hanno lavorato sulla “non figurazione” come rovescio della figurazione mentre l’astrazione lirica mette in gioco una diversità radicale che comprende anche la velocità d’esecuzione, il rifiuto della premeditazione e una concentrazione che è quasi uno stato di trance, una specie di rivelazione. Sono in gioco non tanto l’inconscio, che come insegnano i surrealisti perviene sempre ad un’immagine, ma una dimensione preconscia che è, a suo modo, fortemente rivelativa di una condizione remota dell’essere. L’Astrazione lirica spazia dai minuti white writings di Tobey alle sciabolate nere di Kline, per non dire degli altri artisti segnici che ben poco hanno in comune quanto a risultato d’opera, da Soulages ad Hartung, da Wols a Tapies, per arrivare agli americani De Kooning, Pollock, Gorky, Kelly.

Ma è con Mathieu che si afferma l’autosufficienza del segno, fattore ed esito del corpo a corpo tra i tubetti di colore e tela. L’artista ora è messo nelle condizioni di sperimentare la creazione pura senza canoni o riferimenti o imitazioni. “Perché dipinge?”, gli chiede l’intervistatore e Mathieu risponde “Per gridare, per dire, per esprimere un dramma che è mio e di tutti”. Siamo nel 1960, Mathieu rivendica di esser l’inventore del segno puro, tracciato direttamente sul supporto ma anche della macchia che aveva ottenuto versando direttamente sulla tela il solvente. Che sia stato il primo a inventare questa procedura inedita basata su immediatezza e rapidità conta di certo, ma di più conta l’avergli dato un’interpretazione, l’idea di poter “coniugare questi nuovi mezzi espressivi con contenuti nuovi”. Quali sono questi contenuti? La percezione assoluta, intima della modernità e del ruolo che la libertà individuale ha in essa, anche nell’esprimerne la violenza dei cambiamenti, delle contraddizioni.

Malraux avvicinò i segni di Mathieu alla calligrafia estremo orientale che il pittore francese non conosceva ma approvò il paragone, condividendone la potente corsività, l’improvvisazione, la spontaneità. Sans Titre del 1956 è un esemplare pregevolissimo di questa lettura. Tuttavia nei calligrafi giapponesi la dirompente e rapidissima performance del pennello poggia su una filosofia, una solida pratica meditativa mentre in occidente fa parte di una recente liberazione soggettiva che solo l’improvvisazione delle jam session, del jazz possedeva nella cultura occidentale di allora. Fu una rivoluzione, lontana dall’accademia quanto dall’astrazione geometrica che in Francia aveva avuto ottimo imprinting con il gruppo Cercle et Carré.

Mathieu mantenne sempre un livello altissimo di energia espressiva, potente, di scontro, di furente scompiglio. Anche dei dipinti degli anni Ottanta e Novanta la violenza delle dinamiche centrifughe non viene meno, semmai aumentano la varietà dei colori e delle dinamiche e il succedersi dei piani di profondità, conferendo al dipinto una spazialità più complessa come in L'immersion obscure del 1985 o L'adversitè genereuse del 1986 o, sempre del 1986, Pass interdit.

Nei dipinti degli anni cinquanta, ma ancora nella splendida sinteticità poetica di Lumieres amares del 1994 (quasi una fugace meditazione sulla morte), la veemenza del segno saggia la superficie sino a consentirsi l’allusione alla firma come una sorta di schizzo frenetico. La “firma” dunque, quello strato più profondo dell’Io catapultato in superficie, nella massima evidenza dell’emersione repentina. Il vero sisma della modernità è dunque la è percezione di sé.

Eppure, nel violento scontro di dinamiche vettoriali, di grovigli come accumulatori e trasmettitori d’energia, si compone una specie di iconografia astratta delle tensioni spaziali che trova sede e luogo nel campo della superfice dove il monocromo dello sfondo gioca una parte fondamentale. Mathieu dedicava più tempo a preparare il fondo che a dipingere: il fondo doveva essere schermo silente, assoluto, che accentuava per contrasto la potenza espressiva dei segni. E’ da quello schermo quasi sempre nero o rosso (fondali del sacro sin dal neolitico) che scaturisce la potenza di quella frotta di segni schizzati su rotte che, pur nella loro tumultuosità, rivelano di un’intima conoscenza dello spazio: le poetiche del segno, del gesto e dello spazio si saldano in Mathieu con la necessità di un artista che ha compreso a fondo il proprio tempo e i suoi nuovi orizzonti epocali.


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